Counseling: che cos’è e a cosa serve, i risvolti di una professione sempre più richiesta (intervista)

Counseling: che cos’è e a cosa serve, i risvolti di una professione sempre più richiesta (intervista)

Counseling: che cos’è e a cosa serve, i risvolti di una professione sempre più richiesta (intervista) 744 444 Maurizio


Ecco cosa ci ha detto Claudia Montanari, co-fondatrice dell’ ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità) sullo stato del counseling in Italia

Da dove nasce la domanda e l’offerta di counseling è una questione legata solo alla salutogenesi?
La storia del counseling in Italia è ampia. Noi abbiamo iniziato i corsi come Aspic nell’88, le prime forme che lo hanno pubblicizzato sono ancora precedenti, quindi una lunga storia. La domanda è iniziata come bisogno di comunicare con qualcuno che non facesse parte di un’area sanitaria, ma di un’area umanistica, non a caso la nostra ottica è di tipo umanistico, che fa riferimento alla psicologia umanistica. La richiesta d’ascolto sembra che faccia parte delle relazioni umane, come ad esempio nel mondo religioso si può far ricorso a un padre spirituale o a una figura religiosa, allo stesso nel mondo laico si può fare riferimento ad altre figure e tra queste c’è sicuramente quella del counselor. Questa parola, counselor, che è stata intraducibile in italiano, ha creato non poche difficoltà per la comprensione rispetto al pubblico, quindi si è dovuto faticare anche nel saper dare forma a questa attività professionale che prima vedeva affiancati altre forme di aiuto come quello del medico, dell’infermiere, dell’educatore-pedagogista, dello psicologo, figure che viaggiavano insieme, poiché non avevano un’identità professionale distinguibile. Anche la legislazione sulla figura dello psicologo è arrivata nell’89, in grande ritardo rispetto al resto d’Europa. Oggi sono dispiaciuta, essendo io psicologa, che ci sia incomprensione rispetto a figure parallele e distinte, perché più c’è un riconoscimento di come dev’essere una figura professionale, più questo permette un esercizio della professione nella legalità e senza abusi. I counselor sono tanti, nell’ultimo mese e mezzo ci sono stati tre convegni di diverse associazioni professionali di counselor, quello della Reico, della Cncp e quello della Federcounseling con Assocounseling. Oggi c’è una forte presenza e un forte desiderio di questo tipo di relazione anche da parte del pubblico, proprio per la brevità del percorso, perché se io sono una persona che vuole solo stare bene superando qualche piccolo intoppo nel mio percorso di vita e voglio una persona che mi ascolti, che mi accompagni nella vicinanza in un mondo che va troppo velocemente, il counselor ha diritto d’esistenza”.

Chi si rivolge a un counselor?
“Chi ha un momento di difficoltà nella vita. Può essere superato attraverso l’ascolto di una persona esperta, che non è un ascolto amicale che dà consigli e che quindi mette barriere, ma un ascolto attivo di presenza, di sentimenti. Chi ha bisogno di orientarsi anche verso altre figure, infatti inizialmente il counselor può essere un orientatore per la persona, per poi lavorare in equipe con altre figure professionali per fare approfondimenti e collaborare con loro. In ambiti universitari, scolastici, anche sanitario, in certe Regioni, il counselor può lavorare a stretto contatto con altre figure professionali ed essere di grande sostegno e aiuto”.

La legislazione italiana aiuta la diffusione del counseling?
“La legislazione italiana è stata aiutata dall’Europa, che per molti anni ha chiesto la normazione delle professioni non regolamentate. Con la Legge 4 del 2013 è stato affermato che le professioni non regolamentate potessero avere delle associazioni di categoria con un certo tipo di normativa. L’unico ente di certificazione nazionale, a cui la figura del counselor si è rivolta, ha delineato il profilo professionale di questa figura. L’unico problema è che l’iter della norma non è arrivato alla fine per cui la categoria è in attesa che questo processo si possa concludere. Ci sono delle questioni aperte che man mano vedranno delle definizioni. Ci vuole un impegno da parte di tutti i counselor e anche di tutti coloro che hanno usufruito del counseling. Il counseling è una realtà e serve al Paese”.

Nel resto d’Europa c’è una legislazione sui counselor?
“Grazie a uno Stato membro, l’Austria, l’Italia si è dotata  della Legge 4 del 2013. L’Austria ha riconosciuto la figura del counselor e se in uno Stato membro dell’Ue esiste una legge statale rispetto a una professione, proprio per la circolazione europea, esiste anche negli altri Stati membri, questo porterà a superare tutte le lotte tra professionisti, che prima poi saranno risolte. In tutte le altre Nazioni esistono le associazioni di categoria, mentre in Italia esistono gli ordini. Si dovrà andare oltre a quella sentenza del Tar del Lazio che nel dare ragione all’ordine degli psicologi che hanno contestato l’inserimento nell’elenco dei professionisti di un’associazione di categoria, ha riconosciuto che il counseling esiste. L’importante è regolamentarlo e si sta andando avanti in questa direzione. Il counselor deve formarsi, aprire una Partita Iva per esercitare la libera professione e può iscriversi a un’associazione di categoria. Il dato di fatto è che più si conosce il counseling, più il pubblico cerca un counselor formato”.

Le aspettative del counselor quali sono?
“I counselor che lavorano da diversi anni hanno l’aspettativa di essere riconosciuti in maniera più strutturata, con un percorso definito. A Malta tra pochi giorni si svolgerà il 50° anniversario dell’IAC, Associazione internazionale di counselor, inizialmente un’associazione europea che è poi diventata un’associazione mondiale. Una valanga così, che si sta sempre più ingrandendo, non credo possa essere fermata, come non è stata fermata la psicologia che si era diffusa nel trentennio fascista e a cui era stata chiusa tutta la parte scientifica della psicologia”.

Fonte:
Urban Post

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