Counseling: intervista a Maria Cristina Falaschi, presidente Reico, su lavoro e normazione

Counseling: intervista a Maria Cristina Falaschi, presidente Reico, su lavoro e normazione

Counseling: intervista a Maria Cristina Falaschi, presidente Reico, su lavoro e normazione 502 220 Maurizio

VII Convegno di Reico, Associazione Professionale di Counseling: intervista alla presidente Maria Cristina Falaschi

Circa 400 counselor provenienti da tutta Italia si sono riuniti sabato 16 novembre, presso l’Auditorium del Collegio Serafico internazionale dei Frati Minori Conventuali in Roma, per partecipare al convegno dell’associazione di categoria Reico. Con oltre un migliaio di iscritti questa associazione, da diversi anni, è impegnata nella politica di affermazione ed evoluzione della professione di counselor. Abbiamo rivolto alcune domande a Maria Cristina Falaschi, presidente di tale ente da poco meno di un anno e mezzo, sulle prospettive della professione di counselor che in Italia è stata inserita dalla legge 4\2013 tra le professioni non regolamentate.

Il tema del VII convegno Reico è stato ‘Obiettivo: lavoro per i counselor’, qual è la reale prospettiva per questa professione?

“Abbiamo voluto dedicare una intera giornata al tema della professione, con ‘Obiettivo: lavoro’ il VII Convegno nazionale Reico ha voluto raccontare l’esperienza professionale di numerosi counselor da tutta Italia, a testimonianza che la professione esiste e può essere declinata in tante forme. Abbiamo ascoltato esperienze di chi lavora esclusivamente come counselor ed esperienze di integrazione nei contesti lavorativi più diversi (l’azienda, l’ospedale, il carcere, il turismo…).

Abbiamo visto che lo spazio per esercitare questa professione esiste in tante forme e contesti, anche, ad esempio, come volontari in un’associazione di protezione civile. Dunque possiamo affermare che esistono reali prospettive di sviluppare la professione, nella misura in cui ci comportiamo da veri professionisti, capaci di costruire la propria attività imprenditoriale e di curare la propria formazione continua e aggiornamento”.

In cosa si caratterizza la nuova linea di presidenza della Reico?

“La nuova presidenza vuole rilanciare il perché esiste la Reico, recuperando lo spirito con cui i soci fondatori hanno dato il primo impulso a questa comunità di professionisti: la vocazione democratica ed orizzontale di un’associazione di counselor per i counselor, protagonisti attivi e proattivi.

Recuperare le origini è la premessa necessaria per disegnare il futuro. Come? Si tratta di lavorare per coinvolgere i soci, metterli al centro e creare connessioni, sinergie. Proprio come è accaduto nel Convegno: sul palco sono state portate esperienze di vita professionale vera, concreta, ossia le persone! Non gli esperti, ma i counselor che esercitano quotidianamente la loro attività professionale nei vari contesti. E questo ha creato nuove connessioni, nuovi contatti, nuove opportunità.

È talmente rilevante per noi, che lo vogliamo comunicare anche con una nuova identità visiva: il nuovo logo vuole esprimere inclusività e circolarità, capaci di accogliere l’identità di ciascuno, preziosa per la sua unicità. Come Soci abbiamo bisogno di riconoscerci in un progetto, una comunità di intenti, in una identità. E questa presidenza sta lavorando per costruire la rete, a partire dal contributo dei soci che ci vogliono mettere energia e tempo”.

Quali sono le aspettative di Reico rispetto al tavolo UNI, che segue le prospettive europee?

“Il tavolo UNI è una realtà poco conosciuta al di fuori di chi partecipa direttamente in presenza. Si lavora alla normazione della professione, ossia nel concreto si cercano le parole per dire e definire: chi è il professionista counselor e cosa deve saper fare.

Si cercano parole e definizioni condivise da tutti i presenti, per questo è un luogo dove ci si confronta con altre associazioni di categoria, con i rappresentanti dei ministeri e con gli stakeholder.

Partecipare alle riunioni del tavolo significa allenarsi al confronto e alla continua ridefinizione delle attività, delle conoscenze e delle competenze che riguardano il professionista. I riferimenti e la prospettiva che inquadrano tutto il lavoro sono quelli europei, contesto da cui l’Italia non può prescindere, anche in termini di professioni d’aiuto.

Soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle condizioni della libera concorrenza e del libero mercato, che in Italia fatichiamo ad esprimere vista la presenza massiccia del sistema ordinistico.

Noi continuiamo ad investire tempo, risorse ed energie per dare il nostro contributo al processo normativo in atto, fiduciosi di giungere alla stesura finale di una buona norma sulla professione del counselor, soprattutto per il bene dell’utente”.

Come considera le opposizioni di alcune associazioni degli psicologi al riconoscimento della professione?

“In realtà si tratta di accettare più che di riconoscere, in quanto la professione del counselor esiste già e da parecchi anni, e il Fisco ne sa qualcosa, visto che al pari di altri professionisti il counselor paga le tasse attraverso la Partita Iva. Si tratta di accettare che esistono professionisti che hanno una formazione diversa da quella dello psicologo e che intervengono per agevolare le persone nel gestire le proprie difficoltà. La realtà sociale in cui viviamo è diventata più complicata di qualche decennio fa e per questo si sono moltiplicate anche le categorie interpretative con cui leggere la complessità. Ciascun professionista, quando formato seriamente, ha un ruolo e una posizione nel mercato delle professioni di aiuto, che se ben definite e normate, concorrono a disegnare un quadro più completo a disposizione dell’utenza che è libera di scegliere cosa serve al caso suo”.

Fonte:
Blastingnews

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