Quale differenza tra uno psicologo e un counselor? L’Italia verso l’Europa (intervista)

Quale differenza tra uno psicologo e un counselor? L’Italia verso l’Europa (intervista)

Quale differenza tra uno psicologo e un counselor? L’Italia verso l’Europa (intervista) 2400 1350 Maurizio

Il dottore Cristiano Di Salvatore di professione psicologo ci ha inviato alcune notazioni su degli aspetti dell’intervista concessaci da Sergio Giannini, counselor Formatore e Supervisore iscritto REICO (Associazione Professionale di Counseling) sulle tematiche dell’attività di counseling. Ringraziandolo per la sua attenzione e per il riconoscimento della nostra professionalità, abbiamo ritenuto giusto concedergli la possibilità di esplicitare le sue opinioni rispondendo ad alcune nostre domande.

Considerato che per la legge 4/2013, sulle professioni non regolamentate, chi svolge una di queste attività deve dichiarare per iscritto ai propri clienti di operare nell’ambito di una “professione non organizzata in ordini o collegi” o va incontro al rischio di svolgere pratica commerciale scorretta, perché c’è da parte vostra una certa resistenza quasi “corporativa” nei confronti di chi svolge attività di counseling?
Ad essere onesto una cosa vorrei dirla: sul tema counselor, la categoria degli psicologi è divisa in due.
Da una parte troviamo, chi come me, ritiene che le attività svolte dal counselor siano già svolte dallo psicologo e dunque non esiste la necessità di creare figure contrapposte; dall’altra, troviamo psicologi che invece ritengono che il counselor sia una professione necessaria, al punto che questi “colleghi” psicologi insegnano nei corsi per counselor (che strana coincidenza!).
Dunque, quando lei parla di “ostracismo”, personalmente ri-definirei il termine con “tutela della professione”, cosa per altro prevista dal nostro codice deontologico.
Certo che se in questo periodo storico, stanno fiorendo molte scuole per counselor, il merito o le colpe sono anche di noi psicologi.
Infatti, per troppi anni, gli stessi psicologi hanno lavorato molto su problematiche di tipo “clinico e patologico”, tralasciando le opportunità previste dalla legge 56\89; dunque se esistono questi luoghi comuni in effetti la colpa è anche un po’ nostra.
Tuttavia ad oggi le cose sono molto diverse: anche grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, lo psicologo riesce a farsi conoscere ed apprezzare da una sempre più maggiore utenza. Credo, che sia fondamentale elencare in modo sintetico e preciso, il percorso formativo dello psicologo e del counselor. Mi spiego meglio: a distanza di oltre 20 anni dall’istituzione della figura di psicologo, ancora oggi esistono luoghi comuni.
Per esempio, non di rado mi viene chiesto “sei uno psicologo…dunque sei laureato?”, oppure “lo psicologo cura i matti, io non ne ho bisogno!”, “lo psicologo prescrive medicine”, o ancora “dallo psicologo devo andare per anni!”
In Italia, la professione di psicologo è stata istituita con la legge 56\89.
Per esercitare la professione, esiste un percorso unico ed obbligatorio; infatti occorre: – Conseguire laurea triennale
– Conseguire laurea magistrale
– Effettuare un tirocinio post lauream di 1000 (mille) ore
– Superare l’esame di Stato
– Essere iscritti all’Albo. Soltanto quando si è iscritti all’Albo, si può esercitare la professione.
Per verificare se ci stiamo effettivamente rivolgendo ad uno psicologo, basta verificare sul sito www.psy.it (albo nazionale).
Il titolo conseguito è riconosciuto da tutti gli enti istituzionali e quindi anche dal MIUR. Dall’altra parte invece, le cose sono molto diverse.
In Italia, NON esiste una legge che abbia istituito la professione di counselor. Esiste una legge, per esattezza la 4\2013 al cui interno sono inserite tutte le professioni non regolate da ordini professionali. Quindi la professione di counselor non è stata istituita da alcuna legge, bensì è riconosciuta all’interno di una legge, appunto la 4\2013.
Per tutte le professioni inserite in questa legge, tra le quali troviamo anche (con tutto il rispetto parlando) cartomanti e amministratori di condominio, non è previsto alcun obbligo formativo! Ripeto: non è previsto alcun obbligo formativo, così come descritto nell’articolo 7 comma 2 (invito i lettori a consultare gazzetta ufficiale). Per garantire una formazione di qualità, la stessa legge 4\2013 consiglia ma non obbliga, di seguire corsi di formazione (anche se non vengono specificate linee guida, durata ecc.) e l’iscrizione in associazioni di categoria.
Ricordiamo che rispetto ai titoli in possesso dello psicologo, i titoli del counselor possono essere considerati come attestati privati, e la stessa iscrizione in “registri nazionali” è da considerarsi come elenco privato e non ha il valore istituzionale di un albo professionale.
E’ molto importante precisare una cosa: la persona che intende definirsi “counselor” senza aver seguito alcun corso e senza essere iscritta in associazioni di categoria, per legge, ha lo stesso diritto di esercitare la professione rispetto a chi ha seguito un iter formativo. Pertanto, per essere cinici, chiunque può definirsi counselor, e non come dice qualcuno “per esercitare la professione di counselor bisogna avere la formazione e le competenze giuste.”
Dunque, la stessa tutela della professione di counselor, la vedo davvero in salita; oltretutto non esiste un esercizio abusivo “di counselor”.
Tornando alla domanda da lei posta, proprio per parlare di “pratiche commerciali scorrette”, mi piacerebbe raccontarle alcuni aneddoti.
Molto frequentemente, mi capita di imbattermi in siti internet nei quali possiamo leggere: “a differenza dello psicologo che si occupa di passato e di psicopatologie, il counselor si occupa del qui ed ora; il counselor offre uno spazio di ascolto attivo e senza giudizio”. Adesso, anche io che sono psicologo, non andrei mai da un professionista che “si occupa di passato e di psicopatologie”, preferirei recarmi dal professionista che “mi offre uno spazio di ascolto”. Oltretutto, questa tipologia di marketing, trova terreno fertile in una società sempre più orientata alla ricerca del piacere ed a soluzioni immediate e veloci. Ecco, queste affermazioni le definirei “pratiche commerciali scorrette” e le spiego perché. La legge 56\89 (per intenderci quella che ha istituito la professione di psicologo) afferma che lo psicologo si occupa di:
– Diagnosi
– Sostegno psicologico
– Cura
– Abilitazione
– Riabilitazione
– Formazione
-Ricerca
Dunque, far intendere in modo più o meno implicito che lo psicologo si occupi solo di “psicopatologie”, di “diagnosi” e di “passato”, significa affermare cose differenti da quello che è previsto dalla legge 56\89.
Anche perché, è praticamente impossibile aiutare una persona parlando solo di “passato” e solo di “traumi infantili”.
Lo psicologo dunque si occupa, per legge, sia di “patologie” e quindi di “prevenzione e cura”, ma anche di “salutogenesi” e dunque “promozione della salute”.

Alla luce del fatto che la stessa legge distingue tra professionisti iscritti in Albi o elenchi, professioni sanitarie regolamentate e attività artigianali, commerciali e di pubblico esercizio, e il mercato viene così diviso in tre parti, perché manifestate questa forma di ostracismo nei confronti di un’attività professionale sostanzialmente con voi non concorrenziale?
“Lei giustamente afferma che, dato che esistono legislazioni diverse, le attività sono distinte e non concorrenziali; anche perché, per fornire un ulteriore garanzia, la legge 4\2013 afferma che è vietato esercitare atti che sono esclusivi delle professioni inserite in albi professionali (per intenderci al counselor è vietato esercitare atti tipici di psicologo). Mi piacerebbe molto abbracciare il suo punto di vista, in realtà le cose appaiono molto diverse. Per esempio, nel 2015, il Tar Lazio ha emesso una sentenza (al quale è stato presentato un ricorso), nel quale si afferma chiaramente “che il counseling psicologico sia atto tipico di psicologo e non di counselor”.
Di seguito l’art.1 della legge 56\89:
Definizione della professione di psicologo:
La professione di psicologo, comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolto alle persone, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende le attività di ricerca, sperimentazione e didattica. Di seguito invece, la definizione di “counseling” presente nel sito internet della principale associazione di categoria di counselor (evidenziando che differentemente dalla “descrizione degli ambiti di intervento dello psicologo” che ricordiamo sono definiti da una legge precisa, questa è una definizione che è fornita dalle associazioni di categoria).
“Il counseling professionale è un’attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione.
Il counseling offre uno spazio d’ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative rispetto a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta e di orientamento. Si rivolge a singoli, gruppi e istituzioni.” Stranamente anche lo psicologo, offre uno spazio d’ascolto nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi. Tutto questo direi che è molto curioso! Inoltre spesso posso leggere cose del tipo “il counselor ti aiuta in momenti nei quali puoi trovarti in crisi ed avere dei blocchi!”. Ecco in questo “contenitore generico” possiamo inserire di tutto e di più. Rimango sempre più affascinato dalle mille sfumature che la lingua italiana ci offre!
Un altro punto che definirei di cruciale importanza è il seguente: dato che non può fare diagnosi, come fa un counselor a sapere di agire in “aree non patologiche” e che “non siano di pertinenza dello psicologo?”. Mi spiego meglio: tutti sappiamo che anche il personal trainer agisce in ambiti non medici e non disfunzionali.
Come fa a dire questo con esattezza? Semplice: richiede il certificato medico, che altro non è che una diagnosi di “idoneità”.
Dunque, senza il parere dello psicologo, di fatto, un counselor non può avere la certezza di agire in “aree non patologiche” o che “non siano di pertinenza dello psicologo”.
Di fatto per poter affermare questo, si sottointende che sia stata fatta una diagnosi di idoneità, cosa vietatissima per legge”.

Nel campo del sostegno alla persona non è più importante la direzione per cui a livello europeo si va verso il sistema delle competenze che è un percorso parallelo e o alternativo rispetto a quello per titoli?
“Si è vero. Ad oggi ritengo sia molto utile affidarsi alle competenze, rispetto a quelli che sono i titoli. Tuttavia, il mio timore è che venga data esclusiva esperienza alle competenze. Per esempio, possedere una patente di guida, non garantisce al 100% che la persona sia un abile guidatore; allo stesso tempo, in Italia, come in altri paesi europei, per guidare è obbligatorio aver conseguito la patente…purtroppo non possiamo basarci solo sul fatto che una persona sia abile alla guida. Lei si farebbe dare un passaggio da un bravissimo guidatore sprovvisto di patente? Io no! Su una cosa sono in accordo: sviluppare competenze pratiche ed esperienziali è fondamentale! Infatti, tramite esame di Stato si consegue “un’abilitazione all’esercizio della professione” e per esperienza il mestiere si impara durante l’attività lavorativa e non sui libri. Se comunque è molto importante avere le competenze, rispetto al possesso di determinati titoli, perché esistono corsi per diventare counselor?
Perché, mentre io mi definisco “semplicemente” psicologo, trovo chi si definisce “counselor professionista?”
Perchè non usare il semplice termine “counselor?” Perché, se appunto il “titolo” non è così importante, trovo “professional counselor”, “counselor olistici”, “counselor della gestalt” ecc? Tengo ulteriormente a precisare, che questi “titoli” hanno valore di attestato privato e chiunque può definirsi ad esempio “counselor olistico”. A volte, l’affermare che “siano più importanti le competenze rispetto a titoli accademici”, mi fa venire in mente una vecchia storia: quella della volpe che non riuscì ad arrivare all’uva…”.

Quali sono le motivazioni per cui la persona si debba rivolgere prioritariamente a un professionista titolato come lo psicologo?
C’è da fare un’importante premessa: da psicologi dobbiamo avere l’umiltà di capire che ogni individuo è libero di cercare sostegno dalla figura che ritiene più opportuna; anche perchè altrimenti, dovrei fare una vera e propria crociata nei confronti di preti, parrucchieri, estetiste e amici, perché anche loro appunto, offrono “uno spazio di ascolto”. Allo stesso tempo è indispensabile informare correttamente la popolazione rispetto ad ambiti e competenze. C’è da fare un’ulteriore precisazione: nessuna figura professionale è garanzia di qualità! E’ il professionista che applica la qualità.
Dunque non ho problemi ad affermare che esistono psicologi incompetenti, così come esistono medici incompetenti ecc. Come libero professionista, mi occupo di formazione, gestione delle risorse umane in azienda, colloqui clinici ed allenamento mentale nello sport. Non a caso, le due federazioni sportive con maggiori iscritti, stiamo parlando di FIGC E FIT, riconoscono come “allenatori mentali”, solamente psicologi iscritti all’albo. Credo che una persona dovrebbe rivolgersi ad uno psicologo perché, potrebbe avere i seguenti vantaggi:
1) Garanzia dell’iter formativo: dato che la formazione è obbligatoria, riconosciuta e standard.
2) Ambito di intervento: lo psicologo ha le autorizzazioni e gli strumenti per agire a 360° e conoscere aspetti profondi della personalità.
3) Analisi della domanda: spesso ci si rivolge ad uno psicologo pensando di avere già la diagnosi o comunque chiara l’area di intervento.
Per essere più concreto vorrei fare l’esempio del mal di denti: ciascuno di noi avrà esperienza di tutte quelle volte nelle quali ci siamo recati dal dentista pensando di avere una carie e poi le carie sono rivelate essere 3 o 4! Lo psicologo dunque può valutare in modo molto preciso e sicuro caso per caso, progettando l’intervento migliore.
4) Vantaggi fiscali: a parità di tariffe (in genere le tariffe orarie di uno psicologo variano dai 30 agli 80 euro e tariffe simili le hanno anche i counselor), la ricevuta dello psicologo è detraibile al 100%, perché appunto è riconosciuta come spesa sanitaria, quella del “counselor” no.
5) Possibilità di ottenere certificazioni e perizie valide a livello giuridico, assicurativo, lavorativo. Ricordiamo che un counselor non può effettuare diagnosi o produrre certificati di alcun tipo.
6) Possibilità di ottenere un rimborso delle spese sostenute per colloqui, nel caso in cui il paziente abbia assicurazione sanitaria.
7) Garanzia, anzi sarebbe opportuno dire “obbligo di segreto professionale”. Concludendo, mi fa piacere che attualmente in Italia ci sia un grande interesse per il benessere psicologico e il modo migliore, per ampliare gli orizzonti lavorativi è quello di promuoversi ed informare correttamente la popolazione rispetto ai numerosi vantaggi che lo psicologo può offrire”.

Fonte:
Urban Post

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